domenica 4 ottobre 2015

A quel gentil segnor che m’addimanda


Quesito


Caro Duca, Lippo e Duca. TI scrivo perchè so appena stato a vede' co' Giovanna e Warter er morto acclamato Gabinetto der dotto' Caligari. Sai, quer film novo de Johnny Palomba che je l'ha prodotto 'n memoria der bonanima de - come se chiama? - Sergio Sollima. Che pero' te devo di' m'è parso 'n po' 'n mischione de treinspotting a Ostia e i ragazzi d'o zo de Berlino a Centocelle. Bello ppe carità, ma me pare che cce manca er quid, o specifico filmico. A Warter, pero', j'è piaciuto molto. Gajardo, ha detto: se c'era ancora 'er VHS j'o mettevo n'tre puntate allegato all'Unità. Allora, 'n'sostanza, so i' primi anni novanta: anni de Canaro (ma no quelli d'o scrittore nazzista, quelli der sardo d'a Magliana) e corse con l'Alfa 33 e a cocaina a rota. E ce so questi che so amici ma se drogano e se menano. Anzi se menano proprio n'sacco e c'è n'sacco de neon. E c'è fregna. E se menano e se drogheno ancora pe esse piu' amici. Bello si', ma, purtroppo 'aa fine nun c'hanno messo er pezzo forte che j'aveva suggerito Warter, pare: n'epica scena alla ben hur co' 'o scontro tra no straordinario Toni Servillo ner ruolo dell'immigrazione der basso Lazio e Margaret Mazzantini che faceva er cadavere de Pasolini resuscitato. Warter mi ha chiesto de chiederte che ne pensi e pure quanno vieniar MAXXI che ce facemo na serata co tutti i suo'i di lui propri VHS de Italia - Germania tre a uno.


Angelo




Risposta

A quel gentil segnor che m’addimanda
che penso di quel film in bianchennero
indov’a ‘n certo punto c’è na panda
che va veloce nel buio sentiero,
poi c’è ‘n fossetto e quella non ti sbanda?
E trase ben diretta al cemetiero,
ma nonostante tutto stanno bene,
coi scleretri fan cose che sconviene
.
Poi ‘n certo punto, vedi che succede!,
che, mentre sti du slippano di brutto,
si sente ‘n suono roco e non si vede,
che quella dice, fa: “ch’hai fatt’un rutto?”
l’altro risponde “tu così mi lede,
ché per mi farte m’ho mangiato asciutto”.
Allor ‘sti vanno nell’agitazione
e nello scur si ve’ pur un alone.


Lui surge tutto quanto cavaliere
che non gli frega manco della patta
che gli si scorge tutto ‘l belvedere.
Fa ‘l figo, vede ch’è solo una gatta,
ma die’ ci so’ du speci d’aloe vere
che zitte zitte al pacco gli sgratta
e lì ci indugia tanto ch’è ‘n macello
e a me mi par ‘ver vist’anche ‘l pisello.


Allora quello prende e more rotto
e la zita fugge terrorizzata
e lì mi parve essèrci ‘n po’ di Giotto
nei bei rotondi sotto alla stracciata
canotta altilenante con il trotto.
E arriva a questa chiesa sconsacrata,
chiude la porta, assìsasi ch’è stanca,
ma giusto giusto si ci apre la panca.


E proprio qui - a mi’ molesto parere -
c’è ‘na scena ch’ha da star negli annali:
le mille bratte che parono vere
forescon da ste cavità abissali
e questa, che gli fa schifo a vedere,
ci dà le mani avanti a sti animali,
ma quelli che c’hanno la fame cieca
si smangiano le mani e poi l’acceca.


S’intuisce che sta poraccia more
ché ‘l regista ci va di dissolvenza.
Or è giorno e ci so’ certe due more
che stan nude in un bel piano sequenza
che non vi di’ di più per il pudore,
ma, in sintesi, son donne d’esperienza.
Fann’all’amor col fi’ di quelli là,
ch’altri non è, se non Jerry Calà.


E poi tutta ‘na serie di poltiglia:
che Jerry era cresciuto abbandonato
e, per dimenticarsi la famiglia
al brefotrofio ov’era allogïato,
si spartiva tra piànola e bottiglia,
ch’avèvaci‘l pathema del dannato.
Ma ben si ve’ che cresce e si rinnove
che par un mar che sprùzzia a forza nove.


Diventa tanto ricco ch’ove tocchi
tutto diventa d’oro e caca soldi
e c’ha per bodygarde sir Quattrocchi,
interpretato da Massimo Boldi,
che lui gli fa quella dei controfiocchi
ma quello gli risponde sempre “soldi”
con la mano all’orecchio e gli occhi lesi
per l’altra gag dei “sordi dei cinesi”.


In somma poi ci sono cose strane
ch’uno a uno ci muoiono gli amici,
ed è in particolar da batti-mane
la scena di Quattrocchi sulla bici
che vedendosi le vie di fughe vane
si gira ai mostri, sicuro gli dici
“Fo veder i’ com’ muore un italino”,
si fionda a seder, ma fa “aya ‘l sellino”.


Poi c’è ‘l protagonista sul traghetto
che suoana ‘l pianobar per la Caronte
e qui, cioè, stai ‘ltremodo sospetto,
ch’è il nome di quel là dell’Acheronte:
mi me’ la man avante, ché l’ho detto,
c’è tutta una pulp strage su quel ponte.
Jerry sel scampa con un po’ d’acredine
guarda in camera e sospira “libidine”.


Comunque al fin Calà affronta ‘l Demonio
ch’è tutto ‘n viola marrò e lava calda
coi fulminelli intinti in pinzimonio,
c’è ‘na gran lotta che scruenta e sfalda,
ma Jerry vince e c’è bel matrimonio
coi titoli di coda in co’ Smeralda.
Orben, caro segnor, torno al quesito
per me sto film ha ‘l titol d’esquisito.


Vita smeriglia

sabato 3 ottobre 2015

C’ha gli occhi vecchi, le rughette in fronte

C’ha gli occhi vecchi, le rughette in fronte
e se la vedi dismetti l’abballe.
Se stai seduto si siede di fronte,
ma fuori in istrada che sei di spalle
ti tuppulìa con quelle dita pronte,
tu ti giri, lei sen va per l’altro calle.
C’avevi di che far e t’ha distratto,
la notte arriva sempre sine-tatto.

occhi vecchi

venerdì 2 ottobre 2015

Tu se' per me una para di mutande

  Tu se’ per me una para di mutande
di quelle comode larghe sfondate,
ch’ancor c’infolo cose che son grande,
ma me l’avean di piccolo comprate.
Dentro, le man, quand’è che ci si spande,
di lì si sciolgon mai se non sbagnate.
Ed è allo stesso modo che t’indosso:
ti slarga solo quando son sol osso.

para di mutande

mercoledì 23 settembre 2015

Grande piano

  Grande piano. C'è tutto. Amore sesso morte rammarico giovinezze e poesie (nasce cresce rime posciacoscia, leopardi felice, pure una poco di d'annunzio). Allora: a un certo punto ci sono io che a nove anni faccio un giro per firenze e mi viene l'apoplexia perché quel giorno è nata Beatrice (grande stuolo di santi, tutti morti), nel frattempo passeno altri 9 anni e vedo per la prima volta Beatrice. L'apoplessia, sotto le mentite spoglie (giovannirana™) ovvero Lapo (pietra)pezzia mi viene a trovarci. Scena molto forte vietata ai bambini non accompagnati (qui molte carezze, per farglielo sentire). Quindi passeno altri 9 anni ed il progetto divino è su quel punto lì duroduro senzapauro e le cose si deveno una poco confondersi perché se no bello era. Ecco coll'amico Lapo facciamo a gara di poesie. Firenze è in joy. io però c'ho le donne dello schermo e dopo 5 min che sta fermo mi spunta lo screen di suchisuchi. Ovviamente vari scandali. Nel frattempo muorono altri donni. Ci scrivo poesie. Grandi successi ai funerali, anche quelli fuori dal comune (FI). Poi Beatrice muore (nooo). Io mi perdo nella selva (lupi cattivi e contravvenzioni, belli cessi) e lì trovo vari personaggi che mi guideno verso il paradiso dove c'è iddio i santi e Beatrice. Grandi guide spirituali è il signor Adam Lui, ottimo attore dei film quelli lee eroticimicapoco degli anni 60-70-80, ancora in crisi per il fatto delle torri gemelle (ma con due è sempre difficili, appoi non t'attisa che c'è il complesso quello là). Grande finale: veniamtutti fuori. Tutti tutti parotriti senza mettere a nessuno in cinto (extra moenia ;) ;) ). Regia Kim Ki Duc, cast Toni Servillo.
come sono bello col cappello di babbonatale


martedì 22 settembre 2015

Libbri


  Io c'ho un amico che una volta (in vero più d'una) m'ha prestato un fumetto. Uno di quelli belli, tutto patinato e con una copertina rigida, tanto rigida e così rigida, che mi veniva l'imbarazzo a guardarlo negli occhi. Anche la storia era bella. Bella lunga, che me la leggevo di mattina quando mi svegliavo e facevo la colazione e poi ancora sul tavolo e sul divano e le ore passavano, che me lo ero portato pure al cesso tutte le volte che ci andavo (ed erano tante, perché io mangio molta verza). Quando ho finito di leggerlo, gliel'ho restituito e lui - con molto garbo, debbo ammettere - mi ha fatto notare che era un po' malridotto.
  Il che, sul momento, mi fece pensare a certi versi che composi per celebrare la laurea di un altro mio amico, che, però, non leggeva fumetti, ma i grandi classici greci e latini sulle pagine rosa della gazzetta. Facevano pressappoco così:

    Mentre mi sego seduto sul cesso
  questo sonetto ti scrivo in regalo
  e se lo trovi macchiato sì spesso
  è che me l'asciugo alla meno malo.

  Ora, invece, ripensandoci, penso a un'altra cosa.
Il mio amico (dico quello del fumetto) ha un problema. Il mio amico, come tanti in Italia, qualche anno fa ha fatto una scelta che cambierà l'intero corso della sua vita, rendendolo - e dico "rendendolo" - un paria, un mentecatto, un outsider, un precario, un immigrato, o, quantomeno, nel migliore dei casi, un insoddisfatto. Ancora ragazzetto, uscito dalle superiori (un classico, mannaggia a lui e della miseria buttana), gli hanno fatto una domanda: "ora che fai?". E lui, coglione, s'è messo le mani ai fianchi, col petto tutto di fuori e col sorrisetto di quello che non gli frega ha risposto: "lettere". E, nel bel paese là dove si suona, prendersi una laurea in lettere vuol dire bruciarsi. Ma di questo poi vi dico meglio un'altra volta, che è meglio.
  Ora, perché l'amico mio bello, poverino - assieme a tanti altri migliaia di migliaia - ha deciso di segarsi le gambe?
Sù con le ipotesi, signori! Non vi viene? Ne buttiamo giù alcune assieme, va:
  1. non sapeva che fare
  2. non ci piaceva la matematica
  3. non era portato per le cose pratiche
  4. ci piaceva il profondo contatto umano che sta dietro la istruzione
  5. ma a me mi piaceno i libbri!!!!1
  Per esperienza vi dico che i maschi che si iscrivono a lettere, solitamente, non vogliono insegnare, tranne quelli che si iscrivono a lettere classiche, perché sono froci e, come le femmine, c'hanno avuto l'imprinting col professore che gli ha riempito l'anima con Medea. Che poi a tutti questi froci del classico, che trovate a insegnare, ci piace a tutti Medea. Ma, siccome il mio amico non fa lettere classiche, per amore del dubbio, escludiamo l'insegnamento.
  Le ipotesi 1-3, invece, non è giusto scartarle per nessuno di quelli che, nell'intero corso di '900 e 2000, hanno scelto di fare gli umanisti. Siamo tutti degli stronzi un po' pigri :|
  Ma alcuni fanno lettere anche perché spinti dal loro amore viscerale per la lettura. "Oh, che bello! C'è ancora una speranza! La passione!" dirà qualcuno. Io - mettiamo subito le cose in chiaro - ci rispondo:
SUCA
  Il male sta proprio qui: nella passione. Questi poveretti che ci piace leggere c'hanno dei genitori più poveretti di loro. Questi genitori, che leggevano e ora un po' si sono rotti ma qualche cazzata la leggono comunque, questi genitori, dicevo, a questi figliuoli se li adescavano tutti. Quando che il piccolo già qualche cosa la capiva, ci facevano:
"Hey, guy, wanna some story? hey, hey, do a story! I've good one! C'mon, take a book!"
  Il bambino, veramente, all'inizio un po' si seccava un po'. Allora sti stronzetti che facevano? Gli allungavano il latte. Poi gli facevano:
"Benvenuto nell'AIDS" :-*
  Allora, al primo natale-pasqua-compleanno che c'è, gli fanno bello regalo e il coglioncello si scarta un bel siringone. Tutto contento si sguarda ai suoi e quelli, col coro di amici d'infanzia e colleghi, gli fanno:
"Questa è magica. Ogni volta che te la inietti, lei si riempie di nuovo, così poi tu puoi iniettartela un'altra volta, bimbo mio, e dentro trovarci nuove storie più belle. Trattala bella, è maggicaaaa"
  Ed ecco spiegato perché il mio amico mi ha cacato il cazzo.
  Ma io mi chiedo a me e mi chiedo a voi:
Ma a questo punto non era meglio drogarsi giusti?
   Che almeno la droga la scegli tu e poi, dipende quale, ma tutti questi grandi effetti collaterali non è che si vedono subito. C'è quella che ti rilassa quando sei stressa per l'"ora labora!", quella che ti rimette l'anima in corpo quando sei stanco per il "troppa labora", ma a me mi pare difficile che uno colla droga si mette nelle mille messe di lauretta-laurona-abilitazione-concorso-bellapresanza-insegnamento-stronzettiPiccoletti-stronzoniGenitoni-ruolo/non ruolo e rimpianto di arruolo. 
  Quindi:





lunedì 21 settembre 2015

Cruscando

Quand’era nica mi parìa na stidda... bedda! Tunna tunna! Cch’i trecci...
Rissi: appena crisci addiventa na pocca! E m’addivai.
Puteva pinzari c’arrinisceva d’accussì, cà mancu mi n’addunai e m’arritruvai attipo Epidu, di comu mi cascaru l’occhi. Cà un jonnu, c’avìa u mastru a casa, jù girava pp’i stanzi, ci rissi: Signò mastru, ma quantu ci pari ch’aju a cacari a lei, cà mi fici ddu cessi?!
“No, vossìa, l’autru è sso figghia!”
Me figghia... a commu mi potti asviluppari accussì llaria? C’appoi mancu figghia me jè... cà non ma fa isari giusta mancu quannu m’a suca... SOOOCA! SOOCA, pezzimmedda... cà mancu p’annacarimmilla sì bbona, ccu sta facc’i lappara... calatilla, calatilla st’acedda, capaci ca t’affui e mi levi stu pinzeru e ccu na sborrata sula mi facisti finammente cuntentu..

[dalla finestra un coro di contestatori]

Nos la krüsc nun la vulém! Nos la krüsc nun la vulém!

A sti bastaddi manzoniani d’a ventisettana m’anu a sucari sempri a minchia cu sta lingua nazionali e populari... meddi ca su...

Meeddiii!!! Itavinni a travagghiari! A lingua ha ghiessiri PUUURAAA!!!

mmsettimocielo...


giovedì 17 settembre 2015

Πsciara

  Nascere. Venire al mondo. Chiudere gli occhi sul mondo. Un’esperienza onirica, con o senza il dubbio la si potrebbe vedersela così:
  Grande vagina (inscrivibile in losanga, si vous plait) si affaccia sul mondo, nemmanco a dirlo, sorride. Digrigna. Mostra i denti urla e ti sgracchia. Nel salivare che s’andava facendo sozzò d’un etterno pantano, cristallino. Deh: semietterno, dacché s’ave netti confini, ma piano piano di quei piani coi puntini che tra loro non c’è mai spazio voto, tutto pieno di punti che a passarseli tutti non bastano gli alfabeti (nemmanco gli ideogrammi cinesi, stolti retrò pesatori di concetti pur troppi luminosi per le palpebre vostri, cinesi). Sozza, spurga, spruzzia. E nel pant-ano (riflesso vulvica, so: buco di buco, oh Lucio, ti sbucio) gemina narcìsiter feti globulari pendenti come piccole gioy, dolci, mbratti tarzanelli. Il piano s’increspa, i colpi si effondono, i corpi si mondano, i punti si perdono assieme a tutte le parole alluse del mondo, dolci elusioni. E fu così, penso, che l’emulsione del parto sconfisse la perfezione geometrica e le donne ne seppero davvero una di più, dacché iddiabbolo cercando puntini da unire in ghirigori contorti non trovava soluzione. E pure tutto era già umido! :-o
  Quindi cadono come raggi di pacchio, sorta di catasterismo retroverso.
  Alcuni vanno a nascere nel pelago profondo di equidistanza e cecità, altri una pocanza viciniore alle litora, altri sul bordo della piscina e gli ultimi tra lo scivoloso livido di muffa pavimento ed il muro ruvidazzurrino: tutti ennesi.
  Ora, tu che stai leggendo sei di quei cresciuti coi piedi umidi di rogna (l’acqua ristagna sempre a Portopalo) e le gote umide di vitalistiche mozioni. C’hai votati a tutti sì e quando l’angelo è passato t’ha lasciato bello e forte che fatto c’hai pagare pure il ticket. So leggi di gusto, apprezzi coi prezzi degli altri e sogni di mille calori, tutti profumati. Ti si direbbe àncora, ma io ti vedo come scoglio, ti si sguarda comu un faro nella notte dei miopi nuotatori. Mi piaci e non mi piaci, perché il tuo sudore sa diverso, di sgorga dal dorso se insdauri un disgorso sguardando dall’aldo. Dal basso mi pari un immenso, dacché sei emerso. Emerso non come uno che si è emerso, ma come uno che è stato emerso, non il so se son chiar. A te, quando che t’hanno messo al mondo, ti hanno emerso sul bordo. Tu non ti mendi. Non ne hai bisogno, ma sogni soltanto e gusti e sorridi e leggi e poi ti dimenti.[1]
  E sotto ti s’invidia il culo asciutto nel mentre ci si ripassa da un punto all’altro, lentissime e pudicissime e (s)pregiudicatissime tartarughe ma marine. Tu ci hai già pregiudicato, sei di quei che c’hanno insegnato la geometria quel tanto che basti per non buttarsi a mare. Ma le frecce, quelle le lanci che non avere tempo una certa pocanza ti si conviene. Ti si confà, sta bene. Tivibbì e non tivibbì lo stesso. Forse più bi che sogno. In ogni caso un freudolento bi-sogno.
So ricapitolando che oranau c’è confusione: tu stai coi piedi ammollo a bordovasca, irto di rahssegnazione che il sole ti sbacia tutto tutto. E leggi. Perché sei buono e bello e naturaliter e anco un bittino for-tu-nato, so: egocentrico. Ed io annaspo col braccino sul bordo mentre scrivo. Attorno c’ho certi timorati da lo signore che si sguardano tutti e cercano di levarsi uno sull’altro e si affondano l’uno collardo, tutte teste idrofile. E che scrivo te l’ho detto? No, perché quei, col braccino lì, scrivono, no perché sono io, ma scrivo. Un po’ bruttin, livido d’acqua, tumefatto, parti travagliati, labbri spaccati. Quelli ammollo che vogliono uscire son tali. Zombano come etterni non morti e, infatti, tra un istante e l’altro non c’è niente, niente! Però poi vengono fuori. A scatti. Ta ta ta ta ta ta ta si levan len levano ta ta ta ta ta ta puntano i piedi con aria di sfid sfida ta ta ta ta ta ta ta ta geometriaaaa ta ta ta ta ta le le cocose soson di di di di ta ta ta ta ta verse. So so si retroflettono appena e pure si scorgono sporti sul pelo sul pelo dell’acqua - orrida desideranda vagina! - e vedeno uno splendido volto. Questo son quest. Joy.
  Vediamo quanto dura questo 
suuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuca





[1] de arte essendi una palola: -a lungo ablativus de qualitate, ;)